CAMPI ELETTROMAGNETICI
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Campi elettromagnetici: dopo diversi studi, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha classificato i campi magnetici ELF (a frequenza estremamente bassa) come “possibilmente cancerogeni per l’uomo”. Nel 2007, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato una monografia relativa a tutte le conseguenze sanitarie delle esposizioni ai campi elettrici e magnetici ELF. Secondo l’OMS, le conoscenze scientifiche attuali riconfermano le valutazioni della IARC circa la leucemia infantile, indicano come non sussistente l’associazione con i tumori della mammella e le patologie cardiovascolari, e suggeriscono di continuare le ricerche relative ad un’eventuale associazione con il rischio di tumori cerebrali e alcune patologie neurodegenerative (sindrome laterale amiotrofica, morbo di Alzheimer). Inoltre, una relazione tra l’esposizione ai campi ELF e alcuni sintomi non specifici (la cosiddetta “ipersensibilità elettromagnetica”) non è stata dimostrata.
Per quanto riguarda invece i campi magnetici a radiofrequenza e microonde, i risultati dei numerosi studi di laboratorio su animali da esperimento sono piuttosto coerenti nell’indicare che non vi sia alcun effetto cancerogeno.
Per quanto riguarda gli studi epidemiologici sugli effetti a lungo termine, sono state effettuate soprattutto indagini sull’incidenza di tumori in gruppi di popolazione esposti in ambito professionale o residenziale, e studi sugli utilizzatori di telefoni cellulari. Alcuni studi su lavoratori professionalmente esposti hanno indicato un aumento di alcune neoplasie, ma altri non hanno indicato alcuna associazione tra esposizione e patologie. Le notevoli disomogeneità tra gli studi, e le differenze nell’esposizione, non consentono di effettuare meta-analisi per sintetizzare quantitativamente l’evidenza fornita da questi studi.
Nel 2011 la IARC ha classificato i campi elettromagnetici a radiofrequenza e microonde come “possibilmente cancerogeni”, in quanto l'evidenza epidemiologica è stata giudicata "limitata", cioè un’interpretazione causale delle evidenze è ritenuta credibile, ma non è possibile escludere con ragionevole certezza un ruolo del caso, di distorsioni o di fattori di confondimento.