Digital Health: a UniCamillus si parla del valore aggiunto dell’AI in sanità

Bernardini: “Muoiono 5mila persone all’anno per tumore al polmone, ma l’AI aiuta la prevenzione”; Fazio: “La telemedicina ridurrebbe del 70% l’affollamento in pronto soccorso”; Weltert: “L’AI ottima per monitorare i sintomi”; Giannessi: “Simulazioni digitali per salvaguardare il paziente”.

Sanità Digitale: un obiettivo o un punto di partenza? È questo ciò di cui oggi, venerdì 15 dicembre, si è parlato nell’Auditorium della sede romana di UniCamillus, Università che alle scienze mediche dedica tutta la sua proposta didattica. L’occasione è stata offerta dall’incontro “Sanità Digitale e Innovazione in Medicina: Rivoluzionare la cura del Paziente”.

Dal monitoraggio remoto ai dati clinici accessibili, dalle simulazioni tecnologiche alle App basate su dati statistici, nello sconfinato ambito dell’intelligenza artificiale, la digital health rivoluziona il settore sanitario, favorisce la personalizzazione delle cure, ottimizza l’efficienza e potenzia la partecipazione del paziente.

E l’università diventa un alleato ineguagliabile. «L’innovazione del nostro Paese deve puntare dalla Ricerca, di cui l’Università è l’ospite e la digitalizzazione lo strumento» ha affermato Francesco Vaia, Docente di Economia Aziendale UniCamillus e Direttore Generale della Prevenzione presso il Ministero della Salute.

Mai la prima volta sul paziente: il ruolo dell’AI nella simulazione medica

È proprio dei discenti che ha trattato l’intervento di Massimo Giannessi, Direttore Generale di  Accurate. Quest’azienda sviluppa modelli che permettono la simulazione in medicina, in modo da far esercitare studenti e professionisti sanitari con manichini robotizzati con AI, simulation room e piattaforme digitali con esercizi mirati: «Il nostro motto è “Mai la prima volta sul paziente!”». In questo modo, intubazioni, ecografie e iniezioni possono essere sperimentate prima di entrare in contatto con l’assistito.

Intelligenza artificiale e diagnosi oncologica

Giada Bernardini,  esperta in Sviluppo e Strategia aziendale presso la Siemens Healthineers, punta invece l’attenzione sul ruolo fondamentale che l’intelligenza artificiale ha nella diagnosi preventiva di tumori altrimenti difficilmente individuabili. «In Italia vi sono oltre 5000 decessi all’anno per tumore al polmone: questo avviene perché i noduli polmonari vengono individuati quando sono avanzati, e meno del 20% di questi pazienti sopravvive. L’AI può dare supporto al radiologo, tramite software che, all’interno delle apparecchiature per TAC, individuano i noduli inferiori ai 3 mm, ossia quelli ancora facilmente asportabili chirurgicamente».

Per ciò che riguarda le terapie, l’AI può aiutare anche a veicolare la radioterapia in modo più mirato: «Esistono sistemi di AI assistita che trasferiscono sulla macchina per radioterapia le informazioni su quelle che sono le aree da colpire e su quelli che sono, invece, gli organi da proteggere».

Telemedicina: una risposta possibile all’insoddisfazione dei pazienti

Alessandro Fazio, CEO di Dr. Feel, racconta come la telemedicina venga incontro ad un gap tra aumento della richiesta del paziente e carenza di medici. «Il 70% degli italiani non è soddisfatto del servizio sanitario, così come il 76% si lamenta dei tempi d’attesa. Questo è dovuto anche ad un grande problema di carenza di medici: da qui ai prossimi cinque anni, 45mila medici andranno in pensione, e 14 milioni di italiani rimarranno senza medico di base».

La telemedicina può venirci incontro sotto molti aspetti. Da un lato, infatti, permette a più persone di accedere a visite di routine: «da una recente ricerca sui teleconsulti nel Lazio, si evince che nell’ultimo anno le prestazioni in telemedicina sono state ben 200 mila». Dall’altro lato, evita gli affollamenti in pronto soccorso, «riducendo del 60-70% gli accessi inappropriati».

AI per diagnosi e cura? Meglio usarla per il monitoraggio del paziente

Dunque la Sanità Digitale può tutto? Aspettiamo a dirlo. È il monito di Luca Weltert, Docente di Statistica Medica UniCamillus, Dirigente Medico Cardiochirurgia European Hospital.

«È possibile sviluppare in digitale alcune competenze umane, ma non tutte. La diagnosi, ad esempio, richiede l’anamnesi: è un processo che si può trasferire in digitale? Sì, e ce l’ha insegnato il Covid. Tuttavia, manca l’empatia, quello sguardo d’intesa tra medico e paziente che non si può sostituire». Stessa sorte tocca alle terapie. Per cui, per Weltert, dalla macchina occorre prendere il valore aggiunto che dona all’essere umano, senza però riuscire a sostituirlo.

In campo cardiologico, tuttavia, l’AI risulta promettente nel follow up dei pazienti, ossia nel processo di controllo dei dati dell’assistito dopo che questi ha subito un ricovero o un intervento, e tutto comodamente sul suo device. «UniCamillus crede in tutto questo, al punto da mettere a disposizione degli studenti che stanno scrivendo la tesi un’app con dati statistici basati sul monitoraggio dei pazienti cardiopatici».

Per dare spazio a tutto ciò, tuttavia, occorre un cambiamento culturale. «Il nostro mindset sociale non ha ancora piena fiducia nell’intelligenza artificiale, anche perché la tecnologia avanza a velocità incredibili e le persone vogliono comprendere meglio di cosa si tratta» afferma Donatella Padua. Responsabile Scientifica dell’evento e Delegata UniCamillus alla Terza Missione.

Entusiasta dell’incontro il Rettore Profita: «Il dibattito di oggi ci aiuta a ricostruire in maniera proficua il rapporto tra scienze mediche e aziende produttrici».

Fonte: UniCamillus

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